Roma, Palazzo Fontana di Trevi
dal 27 novembre 2004 al 7 febbraio 2005
prorogata fino al 6 marzo 2005
GIUSEPPE VASI
Il fondo di matrici dell’Istituto Nazionale per la Grafica
Osservazioni e divagazioni
Giuseppe Vasi tra Calcografia camerale
e autonoma attività editoriale
Anna Grelle Iusco,
con note tecniche di Giuseppe Trassari Filippetto
La raffigurazione calcografica di Roma antica e moderna, nelle sue molteplici accezioni, ha costituito un fattore caratterizzante della produzione di stampe della Calcografia Romana – nelle successive configurazioni di Camerale, poi di Regia, quindi di Nazionale – e prima ancora di quella bottega De Rossi alla Pace che ne fu il diretto antecedente.
I criteri di elaborazione delle relative matrici ovviamente non risultano univoci, né nell’individuazione dei referenti visivi, né nella determinazione dei parametri di elaborazione delle immagini e delle relative modalità tecnico-linguistiche. Al contrario, esprimono il rapporto dialettico fra la personalità degli artisti disegnatori e incisori, il gusto del momento, le attese e richieste del mercato grafico, le specifiche intenzionalità, la condizione economica e gli indirizzi programmatici dell’Istituto.
Ancora meno risultano univoci i criteri che nel corso del tempo hanno orientato l’acquisizione di matrici preesistenti realizzate all’esterno dell’Istituto e alienate da eredi di artisti o di botteghe editoriali. Determinanti sono stati, infatti, i condizionamenti imposti dalla funzione riconosciuta come primaria della Calcografia al momento di quelle acquisizioni e soprattutto dal giudizio limitativo a lungo perdurato sull’intrinseca natura delle matrici: non manufatti d’arte a pieno titolo ma meri strumenti di produzione di stampe, deprivati quindi nel loro valore non soltanto dall’usura ma anche dal solo essere stati già utilizzati.
E l’evidenza dei fatti documenta che nel Settecento si svolsero interamente al di fuori dell’Istituto, per molteplici e diverse motivazioni, gli innovativi approcci alla visualizzazione di Roma di Nolli e Piranesi, come, per gran parte, quelli di Vasi e Volpato.
Di qui la poliedricità, l’articolazione ma anche le lacune dell’ampia raccolta di interesse vedutistico che s’è andata costituendo presso la Calcografia Romana e ha inglobato nell’Ottocento – talvolta dopo accesi dibattiti – i fondi Piranesi, Gmelin, Uggeri e agli inizi del Novecento il fondo Rossini e numerosi “corpi” di matrici ceduti dal Ministero del Tesoro.
Il recente acquisto di cento matrici, quasi tutte autografe, di Giuseppe Vasi, poste in vendita dalla libreria antiquaria Martayan Lan di New York,1 ha parzialmente colmato la pressoché totale assenza nella raccolta della Calcografia – oggi settore dell’Istituto Nazionale per la Grafica – delle opere realizzate da Vasi tra il 1745 e il 1765: anni centrali dell’attività e della definizione del linguaggio non soltanto dell’incisore siciliano ma anche del più dirompente e originale vedutista calcografico del Settecento, Giovan Battista Piranesi.
Mentre, per altro verso, esso ha integrato il catalogo delle matrici di Vasi ancora superstiti in raccolte italiane, costituito da numerose lastre di proprietà privata,2 due nei Musei Civici di Brescia,3 una nell’Archivio Provinciale dei Frati Minori della Toscana a Firenze,4 tre nell’Archivio di Stato di Torino,5 quattro nei Musei Vaticani,6 oltre che dalle quarantasei, se non quarantotto,7 attualmente nell’Istituto Nazionale per la Grafica – cui ne sono da aggiungere venti riferibili a Vasi soltanto per la cura editoriale8 – non poche delle quali pervenute in Calcografia dopo la morte dell’incisore.9
Le pagine che seguono sono intese a una lettura delle vicende biografiche di Giuseppe Vasi dall’arrivo a Roma al 1770 – data del suo ultimo lavoro per la Calcografia – incentrata sui rapporti dell’artista con l’Istituto camerale. In tale contesto propongono una prima analisi delle lastre di recente acquisite, attraverso la quale evidenziano quanto si può al momento affermare o ipotizzare sui loro percorsi editoriali, sulle modalità operative del Vasi, sui motivi della carenza cui s’è accennato e su quella presunta collaborazione Vasi-Piranesi che costituisce un problema critico ancora non del tutto risolto.
Percorsi e incontri nella città del Settecento
Mario Bevilacqua
Londra, Parigi, Roma.
Nel 1676 veniva pubblicata a Londra la grande pianta della città di John Ogilby e William Morgan (fig. 1): una spettacolare impresa scientifica ed editoriale, che aveva visto convergere alla sua realizzazione gli interessi e le competenze di tanti protagonisti – da sir Christopher Wren a Robert Hooke – esponenti di spicco della più avanzata ricerca scientifica inglese che, in quegli stessi anni, aveva dato vita alla grande avventura sperimentale della Royal Society1.
Lo stimolo al rilevamento della City, richiamandosi – come ricorda Samuel Pepys nel suo diario – all’impresa parigina di Gomboust (1652), nasceva dalle impellenti esigenze di riforma urbana che la monarchia, l’amministrazione locale e una serie di più avveduti e sensibili architetti e intellettuali, da tempo invocavano per fare di Londra una capitale monumentale e moderna, nel confronto diretto con la realtà delle due più importanti e prestigiose capitali dell’Europa del Seicento, Parigi e Roma.
Il disastroso incendio della City, nel settembre del 1666, aveva accelerato, con l’immediata necessità di conoscere e censire la realtà della metropoli devastata e di programmarne la rinascita secondo nuovi canoni estetici e funzionali, l’esigenza di disporre di un rilievo preciso come strumento di conoscenza di base al fine di impostare in termini nuovi ogni opera di ricostruzione. Tra le primissime disposizioni varate a pochi giorni dall’estinzione dell’incendio, ci fu anche quella di incaricare Christopher Wren, insieme a Robert Hooke, docente di matematica e incaricato delle sperimentazioni presso la Royal Society, “to take an Exact & speedy survey of all Streetes Lanes Aleys houses & places distroyed by the late dismall Fire”, in cui si sarebbero registrati tutti i titoli di proprietà e i successivi passaggi2.
Il rilievo, col venire meno della più impegnativa idea iniziale di ricostruire la City secondo un nuovo piano, più razionale e monumentale, in realtà non venne mai portato a termine negli scopi iniziali, e confluì nell’opera di Ogilby e Morgan. Per la prima volta in Europa nella seconda metà del Seicento Londra aveva dunque proposto, anche se poi non portandolo a termine, un rilevamento a carattere scientifico della città scomposto nella sua realtà di insieme di proprietà pubbliche e private: un rilievo geometrico-particellare, e quindi a carattere catastale, all’avanguardia rispetto alla prassi di tipo descrittivo, perfezionata già in età medievale.
È per una particolare ma significativa coincidenza che nello stesso 1676, anno di pubblicazione della pianta di Londra di John Ogilby, a Roma venisse pubblicata la grande pianta della città di G.B. Falda3 (fig. 2), analitica raffigurazione a volo d’uccello, che si impone subito in tutta Europa come immagine moderna della città eterna (un esemplare veniva esposto in posizione d’onore nella biblioteca di Samuel Pepys, presidente della Royal Society, in stretto contatto con gli esecutori della pianta di Ogilby) (fig. 3). La pianta di Falda è una realizzazione altrettanto impegnativa e ambiziosa, nata da un meticoloso lavoro di verifica scientifica sulle dimensioni della città, e di attenta raffigurazione della sua veste monumentale, secondo il precedente della pianta del Greuter (1618), e sul modello messo a punto alla fine del Cinquecento dal Bonsignori a Firenze. Quanto la pianta di Londra evidenzia l’esigenza conoscitiva dell’ingombro d’area della proprietà privata in relazione alla viabilità, agli spazi e alle funzioni pubbliche, la pianta di Roma di Falda, pur ineccepibile dal punto di vista della resa generale del dato topografico, esalta la magnificenza monumentale dell’Urbe, analiticamente scomposta nella miriade di interventi viari ed edilizi che ne avevano rese celebri, nell’Europa delle capitali, la bellezza e la modernità4.
I due modelli di rappresentazione urbana esemplificati dalle realizzazioni londinese e romana del 1676 continueranno a essere proposti, ma sarà l’astrazione planimetrica dell’icnografia a proiezione verticale a essere riconosciuto, nel corso del Settecento, come unico strumento valido di conoscenza e rappresentazione della città, mentre ogni genere di veduta, dal panorama all’assonometria, verrà sempre più percepito come prodotto valido unicamente come operazione artistica, svuotata di ogni attendibilità scientifica.
Dopo la pianta del Falda, in una sensibilità europea ormai sempre più interessata al dato verificabile scientificamente della carta, alla sua affidabilità non soggetta all’imposizione di una lettura fortemente indirizzata, forse l’ultima grande impresa prospettica sarà la pianta di Parigi di Louis Bretez (figg. 4-5), promossa dal prévot des marchand Michel-Etienne Turgot e pubblicata nel 17375: pianta celeberrima e tecnicamente complessa (Bretez fu attento studioso di problemi prospettici), diffusa capillarmente attraverso canali ufficiali in Europa e nel mondo, a esaltare la grandezza della capitale del Regno di Francia, eppure presto percepita come anacronistica e inaffidabile da un’opinione pubblica non più interessata a un’immagine così palesemente manipolata e retorica.
Nel Settecento l’organismo urbano richiede un nuovo modello di rappresentazione: per le nuove capitali (da S. Pietroburgo, fondata nel 1703, a Washington, progettata dal francese L’Enfant nel 1791), per le più antiche metropoli devastate e rifondate (Lisbona distrutta dal terremoto nel 1755), l’esattezza scientifica del rilievo urbano è resa indispensabile dai problemi di pianificazione e razionalizzazione.
Nel momento in cui “cominciano a contrapporsi i due momenti, sino a quel tempo intrecciati l’uno nell’altro, della teoresi e della prassi, cui esteticamente corrispondono la rappresentatività e la funzionalità dei fabbricati, delle vie, delle piazze cittadine”6, la pianta icnografica perde la sua caratterizzazione specificamente militare e diviene il mezzo per assolvere a nuove esigenze, per veicolare nuovi messaggi: può anch’essa essere strumento di celebrazione, ma precipuamente dell’opera di pianificazione, riforma e gestione dell’insieme urbano. Semplificata nella sua strutturazione elementare di pieni e vuoti, riconducibile al dato quantificabile di ingombro d’area, l’icnografia addita il rapporto tra viabilità e costruito, cioè in ultima analisi il rapporto tra pubblico e privato, come unica vera e propria chiave di lettura della città.
L’icnografia è strumento di conoscenza, di gestione economica, di progettazione della magnificenza civile di un’intera comunità. Come tale si lega in modo indissolubile al dibattito sulla città che nel corso del ‘700 diviene sempre più serrato, coinvolgendo non solo architetti, amministratori, tecnici e riformatori, ma sempre più vasti settori di quella che può essere ormai chiamata opinione pubblica. Lo sgomento per l’irrefrenabile crescita demografica ed edilizia si coniuga con una nuova sensibilità e consapevolezza di fronte alla disperante carenza di strutture e servizi, portando all’elaborazione di nuove interpretazioni delle categorie architettonico-urbanistiche di monumentalità e magnificenza: nella molteplicità delle riflessioni, spesso anche contrapposte, e nella varietà degli esiti locali, testi come Les embellissements de Paris di Voltaire, le riflessioni di Laugier o di Patte, il London and Westminster improved di Gwynn, che ebbero vastissima eco internazionale, possono considerarsi come scaturiti da una matrice di pensiero comune, da cui nascono le prime riflessioni in Italia di Lione Pascoli, di Bottari, dello stesso Muratori, che nel Della pubblica felicità invoca un mecenatismo nobiliare rivolto “ad alzare edifizi in pro del pubblico, come ponti, canali, Monti della carità, accademie utili per le scienze, seminari, biblioteche, ospizi, per impiegare in lavori la povera gente, … ed altre simili opere in beneficio della… città”7; fino alle proposte del duca di Noja, autore di una spettacolare pianta della capitale del Regno di Napoli (fig. 6) basata sul prototipo della Nuova Pianta di Roma di Nolli, ma inserita in un programma organico di riforma eccezionalmente maturo8.
La riflessione illuminista sul concetto di espansione o contenimento, ma anche di “miglioria” ovvero “embellissement” degli antichi centri esige e richiede un imponente sforzo tecnico per la produzione di carte, che nel corso del ‘700, per successive, sempre più impegnative realizzazioni, si faranno sempre più precise e basate su comuni codici di rappresentazione, prima di sfociare, in età napoleonica, nell’unificante stagione della diffusione dei catasti particellari. La Nuova Pianta di Roma di Nolli, iniziata nel 1736 e pubblicata nel 1748, ultima rappresentazione della città barocca colta nell’attimo cristallizzato del suo assetto perfettamente compiuto, ma al tempo stesso immagine razionale, tersa e preziosa, di stupefacente esattezza, di una grande metropoli moderna, diviene il riconosciuto, celebrato capolavoro su cui si forma tutta la sensibilità occidentale.
Catasti e geometri.
Nell’Italia del Seicento non mancano importanti esperienze di rappresentazione “scientifica” della città; l’impegnativa sintesi di pianta e veduta a volo d’uccello proposta dalla Bologna vaticana e da Bonsignori a Firenze nel 1583 garantiva una lettura corretta, approfondita e analitica della città9. Ma è all’inizio del Settecento, con l’esperienza del catasto milanese voluto da Carlo VI che inizia a mutare in modo sostanziale la sensibilità verso la rappresentazione della città. Le operazioni catastali milanesi richiesero, per la prima volta, l’esecuzione delle piante di tutti i centri urbani della regione, compresa la capitale, Milano. Eseguito dal geometra veneziano Giovanni Filippini nel 1720-22, il rilievo di Milano costituisce la prima pianta catastale, scientificamente attendibile, di una città italiana, poi divulgata in incisione nel 1734 da Marc’Antonio Dal Re (fig. 7).
Il catasto milanese imponeva il concetto che l’autorità potesse far misurare, al fine di conoscerne il reale valore, ogni bene fondiario privato; le operazioni di misurazione della proprietà divengono strumenti di conoscenza fiscale, e richiedono un’esattezza dimostrabile del territorio e della città: la mappa, che deve essere eseguita con metodi e strumenti che ne devono garantire l’oggettività, assume valore di “prova”, di documento esatto, e di conseguenza equo e imparziale10. Il catasto milanese, che segna in modo concreto ampi settori della cultura italiana ed europea del Settecento, vede per la prima volta assurgere a un ruolo di assoluto protagonismo una nuova figura professionale: il geometra. Erede del sapere tecnico dell’agrimensore, il geometra è un professionista super partes che può garantire l’oggettività del dato rilevato in virtù di una formazione garantita dall’autorità centrale. I “geometri di Sua Maestà Cesarea” vennero formati a Milano sotto l’attenta direzione del matematico di corte Giovanni Giacomo Marinoni, che impose l’uso della tavoletta pretoriana a sostituzione del tradizionale, ma più inaccurato, squadro agrimensorio, ad alimentare un “mito” settecentesco di facilità d’uso e perfezione di resa. I geometri milanesi, i loro figli e allievi saranno attivi nel corso del Settecento non solo nella gestione di ulteriori, impegnative campagne catastali, ma anche nell’espletamento di riconosciute mansioni inerenti la diretta gestione del territorio, dalle più delicate questioni idrografiche alla progettazione di grandi infrastrutture – ponti, strade, porti – fino alle più ambiziose operazioni cartografiche di rilevamento urbano e territoriale, anche al di fuori di un preciso programma di tipo censuario. Le loro competenze confluiranno nei programmi di formazione delle scuole tecniche che, raccogliendo l’eredità dei vari organismi locali preposti alla formazione di agrimensori e ingegneri idraulici, vennero fondate nella seconda metà del Settecento anche in alcuni stati italiani sull’esempio della francese École des Ponts et Chausées11.
Nolli da Milano a Roma.
A metà degli anni ’30, in un momento di forti inquietudini politiche e culturali, Giovanni Battista Nolli (Valle Intelvi 1701-Roma 1756), il più celebre geometra del Settecento (fig. 12), approda da Milano a Roma12.
Formatosi con Marinoni a Milano, e poi autore in proprio di una serie di catasti e “cabrei” tra Lombardia e Repubblica di Venezia (figg. 8-10), l’impiego di Nolli al catasto milanese era in un certo senso segnato fin dalla nascita, avvenuta in una vallata tra lago di Como e lago di Lugano in cui da secoli gli uomini si dedicavano ad attività strettamente legate all’edilizia e all’agrimensura. A Milano Nolli dovette stringere rapporti coi più brillanti geometri attivi al catasto: il bolognese Andrea Chiesa, che sarà poi protetto da Benedetto XIV, cardinali e intellettuali – tra cui Celestino Galiani – nello Stato Pontificio e nel Regno di Napoli, autore di catasti e grandi carte territoriali, del rilevamento del corso del Tevere con lo studio della sua navigabilità; il veneziano Giovanni Filippini, presente a Roma nel 1725 e poi attivo nelle magistrature tecniche lagunari, dove poté forse influenzare la primissima formazione di Piranesi13.
Seguendo le secolari vie dell’emigrazione comasca, nel 1736 Nolli si stabilisce a Roma, dove entra subito in contatto attraverso il milanese Diego Revillas (1690-1746), cartografo e antiquario, docente di matematica alla Sapienza, coi più avanzati circoli di eruditi, matematici e antiquari, promossi dagli Albani e dai Corsini. Con Antonio Baldani (1691-1765), “eruditissimo” bibliotecario del cardinale Alessandro Albani, considerato da molti contemporanei come “il più gran talento di Roma”, e il marchese Alessandro Gregorio Capponi (1683-1746), dilettante di antichità, conservatore del Museo Capitolino, in un clima profondamente segnato dal rinnovamento dello studio della città antica, Revillas commissiona a Nolli la realizzazione di una nuova, “esattissima” pianta dell’Urbe, con particolare attenzione alla topografia antica e al rilevamento di ogni vestigia della romanità. Il contratto stipulato nel 1736 prevedeva l’esecuzione di un rilievo condotto scientificamente (fig. 11), “sì per ciò che riguarda le misure, quanto quello, che appartiene agl’Edifizi”, riportando “non solo le fabbriche moderne, che al giorno di oggi si vedono, ma in oltre tutte quelle che da due secoli in qua erano in Roma, e che poi sono state diroccate, il che si anderà ricavando da varie notizie, e dalle carte più antiche, che con tutta la diligenza di più si saranno segnate le fabbriche antiche nello stato in cui al presente si trovano, e ancora come due secoli addietro si vedevano innanzi la demolizione di molte di esse”; l’opera sarebbe stata accompagnata da un testo di corredo, “un libretto a parte in cui ad ogni numero della carta corrisponderà la descrizione più accurata, che far si possa con tutte le maggiori notizie, che si potranno avere”14.
Tecnicamente l’ambizioso progetto di Nolli – eseguire il primo rilievo sistematico dell’intera città e delle sue antichità col nuovo strumento della tavoletta pretoriana – nasce quindi dall’incontro delle esigenze di una associazione di eruditi e antiquari con le novità tecniche milanesi. All’arrivo di Nolli, Roma poteva contare su una tradizione cartografica di eccezionale ricchezza, per molti versi unica nel panorama europeo, in cui l’uso sapiente dell’immagine del costruito come strumento culturale e di propaganda si coniugava a un mercato editoriale esuberante, strettamente legato al ruolo politico, spirituale e culturale della città; un costante, vivace interscambio tra produzione artistica, riflessione scientifica e sperimentazione tecnica aveva dato luogo a un ininterrotto, profondo confronto con la cultura antiquaria proprio sul tema topografico, dove lo studio e la rappresentazione della città antica contribuiva da secoli a stimolare l’elaborazione di strumenti, tecniche e metodi di produzione dell’immagine della città moderna15.
A Roma Nolli opera un serrato confronto con la cartografia storica: il suo rilievo interrompe bruscamente la fortuna dei codici di rappresentazione barocchi, negando validità alla pianta di Falda, che da più di un cinquantennio sostanzialmente inibiva ogni necessità o tentativo di proporre un prodotto alternativo; mentre seleziona, all’opposto, altri monumenti su cui basare l’autorità del proprio operato: la pianta di Leonardo Bufalini del 1551, il primo rilevamento moderno della città, e la Forma Urbis severiana.
La pianta di Nolli nasce effettivamente da un preciso progetto erudito-enciclopedico sulla topografia della città antica, reso fattibile dalle capacità tecniche del geometra lombardo, e affrontabile nei costi in relazione alla possibilità di collocare il prodotto, nuovo e aggiornato, su un mercato che vede una richiesta in piena espansione. Al progetto iniziale, che comportava il rilievo sistematico, in realtà mai del tutto portato a termine, dei monumenti antichi (operazione sovrintesa da alcuni noti e apprezzati eruditi della città, tra cui Baldani e il gesuita Contucci, curatore del museo Kircheriano, con vari collaboratori), si lega l’esordio romano di Piranesi al servizio di Nolli.
Esordi romani di Piranesi.
Nel settembre del 1740 Piranesi, che in laguna aveva frequentato gli ambienti dei “proti alle acque”, arrivava a Roma, unico “teatro capace di dar pascolo alla sublimità di grandiosi concepimenti”16, dirigendosi immediatamente verso ambienti professionalmente affini a quelli frequentati a Venezia17. A Roma Piranesi si muove con entusiasmo e sensibilità in una città che vive una stagione di grande fervore, tra i numerosi cantieri pubblici (il “restauro” delle grandi basiliche, i nuovi palazzi pubblici) e la molteplicità delle iniziative private, nel fasto di un mecenatismo diffuso, legato alle grandi corti cardinalizie, alle ambasciate straniere, alle casate principesche, ai grandi ordini religiosi.
“Toujours au Milieu des Ruines”, come ricorda il suo primo biografo Legrand18, Piranesi inizia a conoscere la città frequentando i giovani pensionnaires dell’Accademia di Francia, con cui partecipa nello spirito di visionaria riproposizione della grandiosità della città antica assieme al vivo interesse per l’analitica conoscenza dei monumenti attraverso impegnative campagne di misurazione, avvicinandosi con alcuni di loro al mondo dell’incisione e della produzione di apparati effimeri, traendone importanti stimoli per le tavole della Prima Parte di architettura, e prospettive, del 174319. Ma anche, sempre con Legrand, “des savants et des artistes romains pouvaient lui donner ainsi de grands examples”: Giovanni Paolo Pannini, professore di prospettiva all’Accademia di Francia e autore di vedute e “capricci” con monumenti antichi e autore, intorno al 1743, del disegno per l’apparato decorativo della Nuova Pianta di Roma, e “le savant Nolli”, che “levait et rapportait alors aussi ce plan de Rome si estimable par ses détails soignés et son estrême fidelité”. Piranesi “apprit à connaitre surtout avec ce dernier jusqu’aux moindres vestiges des antiquités de Rome”: “il courait sans cesse des Ruines aux bibliothèques pour trouver les noms, la position et la destination de ses masses, des bibliothèques aux Ruines pour admirer encore ces fabriques imposantes”. Un impegno professionale precisamente definito di Piranesi alle dipendenze di Nolli, che nei primi anni ’40, in un momento cruciale per la definizione del programma e le vicende editoriali della Nuova Pianta di Roma, è già riconosciuto come “celebre geometra e cosmografo”, architetto del cardinale Albani (da più fonti verrà indicato come autore del progetto del casino di Villa Albani: fig. 13), impegnato con Revillas nella ricostruzione della basilica di S. Alessio20. Svincolato dai primi rapporti con lo studio di Fuga e avvicinatosi a Salvi e Vanvitelli (gli architetti cui Piranesi si dichiara debitore nella Prima Parte), protetto e finanziato dal banchiere milanese Girolamo Belloni21, con cui stringe una nuova società (che si rivelerà fallimentare) per l’edizione della Pianta, Nolli è impegnato inoltre nella realizzazione di una mappa archeologica con verifiche sul campo, riscontri con la bibliografia e analisi della cartografia storica. La trasposizione in rame dell’intera planimetria della città ad opera di Vasi22 pone Piranesi, attraverso Nolli, in diretto contatto con colui che viene da sempre ricordato come il suo primo maestro romano d’incisione.
La testimonianza di Legrand di un vero e proprio impiego di Piranesi con Nolli, accanto agli altri “giovani” che lo aiutarono (tra i quali andranno ricordati almeno Serafino Calindri, allievo anche di Vanvitelli e Boscovich, e Francesco Collecini, che avrà una brillante carriera nel Regno di Napoli) appare dunque circostanziata, riferibile con esattezza a tutto l’insieme di attività che impegnarono lo studio di Nolli nei primi anni ’40. Ma il rapporto Piranesi-Nolli è probabilmente molto più profondo e formativo di quanto non si sia voluto fino ad oggi riconoscere.
Le vicende della Nuova Pianta di Roma si intrecciano con le prime esperienze di Piranesi nell’Urbe e con la sua formazione artistica, tecnica, intellettuale, in cui un ruolo non trascurabile ha la sensibilità per l’esattezza del dato cartografico23: la pianta di Nolli, nata essenzialmente come carta storica, espressione di una solida impostazione filologica tesa a unificare, metodologicamente, il campo dell’erudizione e della storia con quello delle scienze, era espressione di una matura riflessione metodologica di stampo newtoniano che, già con Francesco Bianchini e Celestino Galiani, aveva imposto un’intensa opera di discriminazione tra metodo empirico-matematico e sistematico-metafisico24, avvicinando in un’unica cultura metodologica scienza e storia, promuovendo il radicale rinnovamento degli studi antiquari e delle pratiche archeologiche25. La pianta piccola di Roma moderna, dedicata al cardinale Alessandro Albani, che completa l’edizione della Nuova Pianta di Roma, firmata congiuntamente da Carlo Nolli e Piranesi, databile a mio avviso con certezza al 1743, è in questo senso la vera opera d’esordio di Piranesi, nel momento in cui lo studio di Nolli è impegnato nella redazione di quella “pianta di Roma antica in un sol foglio”, elaborata sulla base planimetrica del nuovo rilievo scientifico della città, “e supplita dai libri, ed altre carte antiche” che, dopo il 1744, quando forse è già disegnata e addirittura incisa, non verrà più ricordata: non è difficile immaginare il ruolo che poté avere, assieme ai lavori per la redazione del libro che avrebbe dovuto accompagnare la Nuova Pianta di Roma, coordinati da Baldani e Contucci, per la formazione del giovane Piranesi. Altri progetti di pubblicazioni nolliane (in parte certamente nate dal sodalizio con Revillas) – un rilievo della villa di Plinio, una pianta con la ripartizione delle XIV regioni di Roma antica, la riedizione dei frammenti della Forma Urbis, una “accurata” pianta di villa Adriana a Tivoli “cavata da per sé, e dal luogo, e dalle antiche piante” – che mai vedranno la luce, diventeranno la materia viva della produzione artistica e intellettuale di Piranesi.
Nel 1742 Nolli, benché “molto occupato nel delineare su rame i contorni della sua Roma”, accettava l’incarico di collaborare con Revillas alla ricomposizione dei frammenti della Forma Urbis severiana. Il lavoro, che si prevedeva di illustrare anche in una pubblicazione26, cercava di impostare per la prima volta il problema in modo scientifico, col riscontro dei frammenti con la cartografia storica e con le rovine al fine di stabilire una esatta scala di riduzione della pianta.
L’impegno di Nolli è dettagliatamente riportato in una nota contabile del 22 marzo 174327: con l’aiuto di un “giovane” egli appare impegnato nel tentativo di verifica della scala di riduzione confrontando le misure dei frammenti con i monumenti raffigurati. Con Revillas e Capponi Nolli si reca alla Biblioteca Vaticana per studiare le tavole del Bellori, e alla “libraria di S. Agnese a rincontrare le tavole” con la pianta di Bufalini, che viene nell’occasione copiata e lucidata per essere riproposta nell’edizione della Nuova Pianta di Roma. La nota contabile ricorda l’incessante andirivieni “col giovine” tra rovine e biblioteche: “Per esser andato col giovine à riconoscere, e rincontrare le vestigia dell’antico Teatro di Marcello per rincontrare la scala…; Per esser andato… nella Libreria Vaticana à rincontrare le tavole del Bellori…; Per aver fatta diligenza per quattro giorni continui a cercare la pianta del Buffalini; Per una giornata in Campidoglio col giovine impiegata in comporre di nuovo le sei tavole del residuo de pezzi non conosciuti dal Bellori…”.
La biografia di Legrand, dove si ricorda che con Nolli Piranesi “appris à connaitre… jusqu’aux moindres vestiges des antiquités de Rome”, correndo incessantemente “des Ruines aux bibliothèques…, des bibliothèques aux Ruines”, sembra palesemente basata sulla nota contabile. L’identificazione del “giovane” impiegato da Nolli col giovane Piranesi mi pare allora ipotesi più che plausibile, e del resto la vera e propria fascinazione di Piranesi per la pianta marmorea di Roma antica (fig. 14), nonostante la successiva, necessaria presa di distanze dagli esiti scientifici di quei lavori, è stata più volte messa in relazione col lavoro di Nolli.28
L’incontro tra Nolli e Piranesi era forse inevitabile. È attraverso la collaborazione con Nolli che Piranesi sembra concretizzare rapporti e maturare esperienze fondamentali. I percorsi formativi di Piranesi sono complessi, disparati, e riflettono una personalità proteiforme, voracità intellettuale, versatilità tecnica. Vanno però sottolineate le possibili origini del suo profondo interesse per il dato cartografico, inteso come strumento essenziale per una conoscenza “scientifica” dell’antico. Piranesi non è un cartografo, eppure ha prodotto piante di Roma inappuntabili, attendibili e avanzate, su cui si è potuta formare la nuova ossatura scientifica dell’intera disciplina della topografia antica dell’Urbe; piante che sono al contempo opere d’arte, intrise della sua visione poetica, oltre che polemica, dell’antico29. Il percorso iniziato a Venezia raggiunge nuovi esiti a Roma, dove nei primi anni ’40 Piranesi con Nolli inizia a muoversi con familiarità e professionalità in ambienti che gli dovettero apparire intenti a realizzare, in uno spirito di libertà e magnificenza, quella sintesi tra pratica architettonica, ricerca antiquaria, diffusione calcografica e cartografia che rimarranno tra gli elementi fondanti della sua poetica. L’utopia monumentale e il furor inventivo del Campo Marzio, espressi in un linguaggio cartografico ineccepibile, senza dubbio parla ancora – se facciamo attenzione – di questi primi percorsi giovanili.
1748: la pubblicazione della Nuova Pianta di Roma.
La pubblicazione nel 1748 della Nuova Pianta di Roma fu un immediato, duraturo successo. L’opera, stampata in 1824 esemplari, di cui 162 prenotati da associati italiani e stranieri, si diffuse subito (Londra, Parigi, Lisbona, Madrid, Amsterdam, Vienna, Varsavia, San Pietroburgo…), entrando nelle principali collezioni, musei e biblioteche, divenendo l’icona celebrata, nell’esattezza planimetrica resa con sorprendente perfezione tecnica, nella ricchezza dei dati riportati in pianta e negli Indici, della complessa realtà della città.
La splendida raffinatezza del segno grafico, la sua netta chiarezza cristallina, in sintesi quella “bellezza delle Stampe”30 che ne fecero fin da subito un oggetto artistico ricercato e collezionato, hanno continuato ad affascinare la cultura occidentale, decretandone la celebrità. Equilibrio perfetto tra rigore scientifico e forte pregnanza artistica, specchio di una realtà in procinto di essere per sempre perduta, immagine malinconica e sublime di una metropoli dalle infinite “magnificenze” ma immersa in un unificante torpore rurale, assediata dalla natura che avvolge e sgretola le vestigia della sua grandezza passata: ed ecco quindi che oggi, come allora, “è dolce, col mezzo d’essa aggirarsi col pensiero pe’ fori, e le strade di quella metropoli, e talvolta il pensiero cerca il Tarpeo, e trova le vigne invece…”31
Nel 1743 il marchese Poleni, autorevole docente di matematica all’Università di Padova, convocato a Roma da Benedetto XIV per un consulto sulla statica della cupola di S. Pietro, avrebbe dichiarato, di fronte alla magnificenza dell’Urbe, come tutto “quel che si legge, e vede nelle stampe non serve a nulla, mentre non c’è penna né stampa che la possa esprimere”: l’unico modo per conoscerne a fondo la realtà “è da vederla, e rivedere replicate volte le sue gran magnificenze, e considerarla in ogni parte Antica, Moderna, Sagra, e profana miracolo del universo”32. Nonostante la scarsa attendibilità delle incisioni dei monumenti di Roma, lamento ricorrente nei commenti dei viaggiatori del Settecento, è attraverso l’editoria d’arte che si diffonde nell’Europa del Settecento la nuova immagine della città antica e moderna. La polemica e provocatoria immagine di Roma dell’Encyclopédie, la città morta, soffocata dall’incombenza del proprio passato e relegata, nell’incomprensione e nello spirito polemico dei philosophes, al ruolo di insignificante centro periferico, trova nella Nuova Pianta di Roma di Nolli, così come nelle tavole e nei volumi di Piranesi e di Vasi, il suo opposto, più veritiero ritratto di grande metropoli moderna.
Le sezioni della Mostra
Misurare la terra, misurare la città – Geometri e catasti nell’Italia del Settecento
Da Milano a Roma: mappe, piante, cabrei. Per una nuova scienza e conoscenza del territorio e dello Stato
La bonifica delle Paludi Pontine
I catasti napoleonici e il catasto Pio-Gregoriano
La città dei Lumi – Nolli e la “Nuova Pianta di Roma”: un primato europeo
Il rilievo scientifico, l’incisione d’arte, il mercato editoriale
Scienza e arte nella Roma di metà Settecento. Matematici e scienziati, artisti, eruditi, mecenati
La riflessione sull’antico: la costruzione di Villa Albani, i restauri del Pantheon
Forma e funzioni della città moderna
Piranesi – Dalla metropoli antica all’utopia moderna
La fascinazione dell’antico: esordi piranesiani nello studio di Nolli
Forma Urbis Romae
La Roma di Piranesi: documenti e monumenti tra vedutismo e cartografia
Giuseppe Vasi – “Magnificenze di Roma”
Una nuova acquisizione per l’Istituto per la Grafica: le matrici di Vasi
Panorami e piante di Roma nel secolo del Grand Tour
Arte e scienza della città – La fortuna della sintesi romana
Nolli e Piranesi: dalla metropoli moderna alla megalopoli contemporanea
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